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SPECIALE TEATRO FESTIVAL ITALIA - Lo Vommaro a duello, delizioso pastiche

SPECIALE TEATRO FESTIVAL ITALIA - Lo Vommaro a duello, delizioso pastiche

Non è facile raccontare – e collocare – Lo Vommaro a duello, l’ultima fatica di Roberto De Simone andata in scena al Mercadante di Napoli il 27 e il 28 giugno nell’ambito del Teatro Festival Italia. In questo spettacolo composito e dalla paternità multipla, il drammaturgo napoletano svolge ruoli diversi (autore, adattatore, compositore, revisore, regista), riuscendo a imprimere la propria cifra inconfondibile a tutti gli ingredienti utilizzati. Per meglio illustrare la moltiplicazione dei piani e dei riverberi, partiamo da una descrizione sommaria della struttura. L’ossatura della rappresentazione è fornita da una commedia in vernacolo di Pasquale Starace, Lo Vommaro, datata 1742 (il titolo allude al luogo dell’azione, il Vomero, allora località extraurbana e oggi quartiere ‘bene’ del capoluogo partenopeo). La fabula è convenzionale, così come tradizionali sono i personaggi che la animano: il taverniere Ceccone è innamorato della lavandaia Rina, ma la loro unione è intralciata da altri due pretendenti, il giovane Titta e suo padre Don Addenzio; a completare l’azione intervengono l’avvocato Don Trebuzio, che corteggia per interesse sia Dianella (sorella di Ceccone) che Fenizia (madre di Rina), sua sorella Nora (promessa a Titta) e il servo Cardillo. Non abbiamo sottomano la misconosciuta creazione di Starace, un carneade della letteratura teatrale settecentesca, ma a occhio De Simone deve aver sfrondato parecchio l’originale per pervenire a un dettato più agile, pronto ad accogliere iterati innesti e contaminazioni molteplici. Alle scene della commedia, infatti, si alternano arie e concertati (talvolta introdotti da frammenti di recitativo) derivati da una commedia per musica di Giovanni Paisiello su libretto di Giambattista Lorenzi, Il duello, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1774 e poi rielaborata dal compositore tarantino per la corte russa nel 1782 con il titolo Il duello comico (va osservato incidentalmente come De Simone intrattenga da molti anni un dialogo appassionato con Paisiello: lo dimostrano le regie dell’Idolo cinese e del Socrate immaginario firmate per il San Carlo di Napoli rispettivamente nelle stagioni 1992-93 e 2004-05). Gli inserti cantati vengono presentati in ordine sparso e non disegnano una trama parallela, ma costituiscono una sorta di ‘intermezzo’ atomizzato e diffuso che si insinua tra i segmenti recitati. Il rapporto tra le due componenti è di giustapposizione, non di sintesi: vestiti con abiti alla Callot dalle tinte evanescenti, i cantanti sembrano fantasmi; la loro entrata è sempre accompagnata da una luce fredda e tenue, che contribuisce a creare l’effetto di un’epifania e a evocare un Settecento dorato e remoto, riattinto nostalgicamente come stagione di irripetibile equilibrio tra forma, parola e suono. Ma l’architettura de Lo Vommaro a duello è ancora più complessa. De Simone, infatti, affida ad alcuni attori della commedia ampi numeri di canto appositamente composti: questo secondo livello musicale, integrato nel piano della recitazione, risulta del tutto distinto – per stile e per funzione – da quello delle citazioni paisielliane, ed è sempre segnalato dall’arrivo sulla scena di strumentisti in abito settecentesco con il volto coperto da una maschera bianca. Il risultato complessivo è un aggregato vario ma non dispersivo, articolato ma non macchinoso, che allinea le diverse modalità e combina le multiformi competenze della comunicazione teatrale in una sorta di stilizzato campionario. I brani musicali firmati da De Simone presentano una scrittura ricca e matura. Varie inflessioni rimandano alle memorabili intuizioni della Gatta Cenerentola e dell’Opera buffa del Giovedì Santo, ma vengono inserite in un tessuto più denso ed elaborato. Le componenti tipiche del linguaggio desimoniano (il canto popolare, il contrappunto, l’iterazione di cellule ritmiche, l’accumulo), illuminate da un colore armonico ardito e tagliente, sortiscono effetti di grande impatto. Bellissima, ad esempio, è la ninna-nanna del secondo atto: un canto arcaico e dolente, che si snoda come una trenodia a ricordare quanto il sonno somigli alla morte, e che si conclude con un mesto corteo in dissolvenza (va notato come in questo caso la composizione moderna instauri un rapporto antifrastico con il cammeo paisielliano che immediatamente segue, un’aria per soprano tutta tintinnante di vezzi e di civetterie). Impressionante risulta l’ampio finale, nel quale la sospirata unione della coppia principale della commedia offre l’occasione per un sabba dalla scansione trascinante e compulsiva. Ma De Simone sceglie di chiudere con un gesto d’amore e di omaggio verso il XVIII secolo: l’ultima parola spetta a Paisiello, e mentre i cantanti intonano il concertato conclusivo del Duello, sul fondo del palcoscenico i personaggi della commedia intrecciano una lieta contraddanza. L’autore, come sempre, valorizza le abilità e le attitudini dei suoi interpreti: gli attori imbastiscono una performance serrata e nervosa, nella quale il gioco sulla lingua (un dialetto corposo e sanguigno, certo di non facile decrittazione per un pubblico non napoletano) passa dall’improperio al fraintendimento per diventare espressione somatica e impulso cinetico. Franco Javarone (Don Trebuzio), Ciro Damiano (Don Addenzio), Angela Pagano (Fenizia) e Antonella Morea (Dianella) attingono a una sapienza antica, a un nobilissimo ‘mestiere’ che produce esiti di immediata empatia con gli spettatori; energica la presenza scenica di Paolo Romano (Ceccone), gustosa la leziosaggine da giovane innamorato di Fiorenza Calogero en travesti (Titta), incontenibile la vitalità di Renata Fusco (Rina), brava anche come cantante, e di Biagio Abenante (Cardillo), a metà tra lo scugnizzo e il saltimbanco; una prova notevolissima fornisce Enrico Vicinanza, controtenore prestato alla compagnia dei ‘comici’, che dà vita a una Nora monumentale ed esilarante, ma sempre scevra da eccessi e pieghe caricaturali. Apprezzabili anche gli interpreti vocali (Filippo Morace, Clemente Daliotti, Alessandro Spina, Francesco Marsiglia, Francesca Russo Ermolli, Monica Bacelli e Filomena Diodati), che si muovono con grazia e precisione tra le note paisielliane sullo sfondo dell’orchestra diretta da Renato Piemontese. Nitida e simmetrica è la scena fissa con praticabili ideata da Nicola Rubertelli, nella quale sfilano i fantasiosi costumi di Zaira de Vincentiis. Nell’insieme lo spettacolo scorre vario e godibilissimo, meritando pienamente gli applausi di un pubblico caloroso e partecipe (ma non sempre disciplinato). Napoli, Teatro Mercadante - 28 giugno 2008